§Topo da biblioteca§
Amélie è tornata. Viva Amélie.
Finalmente, dopo le delusioni (personali, assolutamente personali) di Viaggio d'inverno e Cause di forza maggiore, un romanzo che mi ha fatto arrivare all'ultima pagina con la voglia di ricominciare daccapo.
Una forma di vita è la storia di un soldato americano di stanza in Afghanistan afflitto, come molti suoi compagni, dalla perenne lotta contro un peso in perenne ascesa. Divise taglia XXXXL. Sedie in metallo indeformabile. Mense raziate come territori nemici. Bilance che restituiscono numeri inimmaginabili.
Tutte immagini che contribuiscono a disegnare l'affresco di una generazione perduta sui campi di battaglia di una guerra utile solo a un certo disegno politico. Il senso di vuoto lasciato dalla crisi degli ideali riempito con burro d'arachidi e coca cola, ultimo sfregio alla società del benessere che ha sacrificato i propri figli per garantirsi la sopravvivenza.
Vero. Falso. Plausibile.
Come sempre queste categorie non si addicono alle storie di Amélie.
Quello che rimane di certo è una critica al vetriolo dell'America Way of Life dal punto di vista di un'europea (se così si può definire una creatura sfuggente alle definizioni geografiche come Amélie) che si mette, non per la prima volta, al centro della scena insieme ai suoi personaggi.
Sì, perché il nuovo romanzo della scrittrice nippo-belga, è epistolare.
E' attraverso questa forma letteraria antica che Amélie racconta in parallelo di due anime accomunate dalla dipendenza che cercano una cura nella relazione epistolare ricadendo invece in una nuova dipendenza.
Del resto la terapia delle dipendenze insegna che non esiste la dipendenza da "qualcosa", ma la "mentalità dipendente". In altre parole non basta allontanare l'oggetto da cui siamo dipendenti per guarire dalla dipendenza. Ricordo a questo proposito la frase di un ragazzo intervistato durante un'inchiesta sulle dipendenze "io non ho una dipendenza dal gioco d'azzardo, ho una mentalità dipendente. Il calcio, la musica, un amore, le patatine fritte. Mi rendo conto che anche se non andassi più a giocare troverei qualcos'altro da cui dipendere".
Amélie riesce a descrivere perfettamente questa mentalità nel suo romanzo epistolare e ne svela i trucchi e gli alibi, mettendosi in prima linea, dipendente fra i dipendenti.
E' proprio questa estrema sincerità che disarma il lettore e lo coinvolge sempre più a fondo in una spirale piena di colpi di scena fino al disvelamento finale che, in perfetto stile Amélie, ha i toni della commedia dell'assurdo.
Usciti dalla spirale del racconto ci si ritrova a riflettere sulle proprie dipendenze, piccole o grandi che siano, e a riconoscerne una di cui si può essere orgogliosi: quella dai romanzi di Amélie.
E se volete aggiungere alle vostre questa dipendenza...voltate pagina...
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(vincitore Prix René-Fallet e Prix Alain-Fournier 1993)
(vincitore Prix Littéraire de la Vocation e Prix Chardonne)
(vincitore Grand Prix du roman de l'Académie française 1999)
(vincitore Prix de Flore)
(vincitore Grand Prix Jean Giono)
martedì 26 aprile 2011
Una forma di vita dipendente
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